Perché Martire

«..dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo quello che da valore alla testimonianza..»

Don Puglisi e bambinaCoerenza di vita alla fede cristiana, instancabile impegno nel perseguire il proprio obiettivo, l’abbandono fiduciale al Maestro, che indica la via della libertà. Questo e tanto altro ancora hanno spinto l’uomo – sacerdote Giuseppe Puglisi.  Colui il quale mette mano all’aratro sa che non può voltarsi indietro, che quel lavoro, accettato sin dalla giovinezza, deve essere portato a termine senza ma, né perché.  La Parola di Dio si concretizzava, giorno per giorno nella sua vita: «avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dissetato, nudo e mi avete vestito, malato o prigioniero e mi avete visitato.» (cf Mt 25,31 ss). Nulla di tutto questo è sfuggito al suo sguardo attento quando osservava le vie della sua parrocchia, nulla di tutto questo è stato tralasciato dalle sue grandi mani. La sua voce era «voce di colui che grida nel deserto», si il deserto del cuore dell’uomo e soprattutto di quegli uomini che, nella presunzione di essere cristiani, usavano la vita dei fratelli. Rispetto del bene comune, rispetto delle regole elementari di civiltà, rispetto della propria persona, erano i binari su cui don Pino viaggiava scontrandosi con l’indifferenza, l’ignoranza, la prepotenza sia della gente comune sia delle istituzioni. Possiamo affermare che il senso del suo martirio, cioè della sua testimonianza di Cristo, sta nell’essersi consumato per l’altro, cercando in quell’altro Cristo stesso. Come quel pastore che lascia le sue buone pecore per rincorrere quella che si è persa.  Come il pastore ha combattuto contro quel lupo che voleva divorare la pecora brandendo la fiaccola della Parola di Dio. Ma questa volta il lupo è andato oltre le sue strategie; per spegnere la luce della fiaccola ha azzannato il pastore.  Don Pino è martire perché ha combattuto il male a Brancaccio “armandosi” dell’annunzio evangelico. Don Pino è stato ucciso in odium fidei perché l’odio della mafia verso i credenti in Cristo, fino alla loro eliminazione fisica rende attuale l’avvertimento evangelico sull’impossibilità di servire due padroni. Egli non si è rifiutato di annunciare la Parola di Dio e di esercitare la sua azione pastorale volta a testimoniare la fede e a promuovere la dignità della condizione umana dei propri parrocchiani, ribellandosi a quelle che sono le leggi atee e inique della mafia – forma idolatrica di religiosità -, forte soltanto dell’invito evangelico a non avere paura di chi può uccidere il corpo. La sua morte, è stata una morte rumorosa poiché ha trasformato il sentire individuale in opera corale di teologi e storici della chiesa, i quali hanno tenuto tomba_don_pino_puglisi_foto_adoniadiversi convegni sulla figura di don Giuseppe Puglisi, sul martirio cristiano e sul rapporto Chiesa-mafia. Don Pino è stato ucciso non solo per l’amore per Cristo, per la testimonianza presbiterale resa nella parrocchia di Brancaccio, per lo stretto legame instaurato tra evangelizzazione e promozione umana, per l’affermazione della radicalità dei valori evangelici e della coerenza tra annuncio evangelico e testimonianza di vita donandola per il Signore e per i fratelli o per la “provocazione” allo stile malavitoso del quartiere. Don Pino è stato ucciso in odium fidei perché uccidendolo, la mafia ha colpito la Chiesa italiana e perché la mafia afferma, con l’uccisione del presbitero, di essere avversa alla fede cristiana. Ecco perché don Pino è Sacerdote del Signore, Missionario del Vangelo, Formatore di coscienze nella verità, Promotore di solidarietà sociale e di servizio ecclesiale nella carità. Ecco perché oggi è considerato fonte di motivazione per i presbiteri (e non solo) affinchè possano anche loro annunciare fino al dono della vita il Vangelo di Cristo. Ecco perchè martire.